Lo storno di dipendenti

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Lo storno di dipendenti

Spesso, a causa della non conoscenza degli strumenti giuridici loro offerti, gli imprenditori non reagiscono a uno degli atti di concorrenza sleale più gravi ma anche più frequenti perpetuati ai loro danni: il cosiddetto storno di dipendenti.

Per storno di dipendenti si intende la sottrazione da parte di un concorrente di uno o più dipendenti col fine di arrecare un danno al concorrente stesso ed al contempo di procurarsi un vantaggio.

Ai sensi dell’art. 2598 comma n.3 c.c. compie un atto di concorrenza sleale “chiunque si vale direttamente o indirettamente di ogni [..] mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda”.

Tra tali atti contrari alla correttezza professionale ed idonei ad arrecare danno ai concorrenti rientra dunque anche la sottrazione di dipendenti”.

Perché si possa parlare di storno di dipendenti, tuttavia, la giurisprudenza ha enucleato una serie di criteri piuttosto severi, giustificati dal fatto che il gioco della concorrenza, in questo particolare ambito, lambisce i diritti costituzionalmente garantiti del lavoratore.

La sottrazione di collaboratori altrui, infatti, non costituisce di per sé atto di concorrenza sleale, poiché la mobilità dei dipendenti risponde tanto al diritto del lavoratore a migliorare la propria posizione professionale ed economica, quanto a quello dell’imprenditore ad organizzare e migliorare la propria azienda.

La giurisprudenza, sul punto è chiara: “l’illiceità dello storno di dipendenti non può in alcun caso derivare soltanto dalla constatazione di un passaggio di collaboratori da un’impresa ad un’altra concorrente, né da quella della contrattazione che un imprenditore intrattenga con il collaboratore del concorrente, in quanto tali attività sono di per sé legittime” (tra le molte, Cass. 9 Giugno 1998 n. 5671).

Perché si possa parlare di storno di dipendenti occorrono, dunque, ulteriori elementi che dimostrino che ciò sia avvenuto “con modalità tali da danneggiare in misura che ecceda il normale pregiudizio che può derivare dalla perdita di dipendenti che scelgano di lavorare presso un’altra impresa” (Trib. Milano, 13 Novembre 2002) .

Il primo di questi è quello che la dottrina e la giurisprudenza qualificano come l’“animus nocendi” e cioè la volontà, tramite una certa condotta, di arrecare un danno ad un concorrente, vanificandone così lo sforzo di investimento e, di conseguenza, annullando l’efficienza del concorrente.

Tale “animus” deve peraltro concretizzarsi in “elementi obbiettivi, quali il numero di dipendenti stornati, la loro particolare qualificazione ed utilità per l’impresa concorrente danneggiata, la denigrazione del datore di lavoro, la brevità del lasso di tempo in cui sia stato realizzato lo storno, e l’uso di mezzi subdoli e scorretti” (tra le molte: Trib. Milano, 28 Settembre 2002).

Ulteriori indizi sono poi la non agevole sostituibilità del dipendente, ed il vantaggio acquisito dal concorrente attraverso l’assunzione del dipendente altrui.

Non di rado, infatti, le condizioni del mercato su cui operano la società “stornante” e quella “stornata” non consentono a chi subisce la perdita dei propri dipendenti di reperire personale qualificato in tempi tali da poter soddisfare la propria clientela, se non addirittura da poter ancora operare.

In tali situazioni, chi è vittima di uno storno subisce un danno che corrisponde ad un indubbio vantaggio concorrenziale per chi assume tale forza lavoro.

L’imprenditore “stornante”, infatti, attraverso la collaborazione di dipendenti altrui, acquisisce informazioni che gli consentono di giungere sul mercato “e cioè di contendere la clientela al concorrente, prima del tempo che gli sarebbe stato necessario se fosse ricorso, come sarebbe stato corretto, ad un proprio autonomo sforzo” (tra le molte: Cass. 13 marzo 1989, n. 1263), attuando così “una parassitaria sottrazione di avviamento” (Trib. Milano, 24 Marzo 2006) ai danni dello “stornato”.

Ne discende che l’imprenditore facendo leva sulla concorrenza sleale può  riequilibrare le sorti: non sono rare le sentenze, infatti, in cui, a parte il risarcimento dei danni, è stato inibito, per un periodo di tempo, all’imprenditore stornante l’assunzione di altri dipendenti appartenenti alla sfera dello “stornato”, nonché dell’utilizzo delle prestazioni che quelli già “stornati” svolgevano nella precedente impresa e nei confronti della medesima clientela .

 

Avv. Alessandra Fiumara

 

 

17 Febbraio 2020- Tutti i diritti riservati